Firma autografa di Bartolo da Sassoferrato

Dipinto di scuola toscana, sec. XVI, Sassoferrato, Palazzo Oliva, Civica raccolta d’arte – Da sin.: Niccolò Perotti, Card. Alessandro Oliva, Bartolo da Sassoferrato, Gianlorenzo Chirurgi (part.)

Per una biografia di Bartolo

Diego Quaglioni

È stato scritto, a proposito di un grande prosatore e poeta di un passato meno lontano, che i poeti non hanno biografia, perché «la loro opera è la loro biografia» (Octavio Paz lo diceva di Fernando Pessoa, suscitando il commento del compianto Antonio Tabucchi, che di Pessoa è stato il maggiore interprete nel nostro tempo). Lo stesso si potrebbe dire di Bartolo, la cui biografia sembra risolversi tutta quanta nella sua opera di interprete del diritto in un’età nella quale il diritto, la scienza del diritto, esprime come mai più è poi accaduto tutta la sua forza inventiva, adattatrice di princìpi e di regole antiche ai bisogni nuovi della società, in accordo col suo forte sostrato valoriale. Eppure l’opera del giurista Bartolo da Sassoferrato (opera di pratico e di professore, opera di giudice, avvocato e consulente privato e pubblico, glossatore e commentatore) è singolarmente intessuta di richiami alla sua propria vita e a quella, privata e pubblica, delle donne e degli uomini del suo tempo, con squarci autobiografici che fanno luce sul giurista e sulla sua scienza oracolare, sulla sua civilis sapientia (come Bartolo amava dire e teorizzare) e insieme sulla vita politica e sociale del suo tempo, fino a mostrare, in qualche consilium particolarmente suggestivo dei modi e del linguaggio della vita popolare, uno straordinario intreccio tra scienza e vita, tra la funzione equitativa dell’interprete, inteso a rivestire della razionalità del diritto dotto le rustiche e imperfette forme del diritto statutario, e la tumultuosa vita sociale con le sue espressioni più colorite, proprie della lingua volgare.
Studi recenti dimostrano quanto vasto sia questo panorama di notizie e quanto ancora resti da indagare nelle opere di Bartolo, andando oltre il quadro già ampiamente ricostruito grazie ai riferimenti autobiografici presenti nelle Quaestiones, nei Consilia e nei Tractatus, se solo si abbia il coraggio di addentrarsi nell’intricata selva della produzione commentariale. Chi lo ha fatto, correggendo ipotesi non ben fondate, ha potuto cominciare ad offrire un complessivo ripensamento intorno alla genesi e alla cronologia delle lecturae, offrendo uno sguardo nuovo sull’attività di Bartolo come professore e sulla natura stessa delle sue lecturae, così diverse dallo stile e dai contenuti di quelle dei maestri della generazione precedente, intenti ad aggiungere glosse alle glosse in uno sforzo interpretativo di stampo ancora complessivamente duecentesco. Quelle di Bartolo erano invece «interpretazioni di tipo nuovo della littera, non già per viam additionum, ma per viam quaestionum, ciò che conferisce a quegli scritti un caratteristico stile diretto e colloquiale e al tempo stesso inerente alla pratica».
Si tratta di un grande passo avanti nell’apprezzamento dell’esperienza scientifica di Bartolo nella sua dimensione propriamente scolastica, tale da mettere in secondo piano aspetti biografici già noti e altri meno noti, se si eccettua qualche non insignificante, ma rapido schizzo che ci offre dati esteriori, come quelli che in un manoscritto riscoperto da Orazio Condorelli mostrerebbero Bartolo come un uomo piccolo, curvo, dall’aspetto alquanto malaticcio. Non sarebbe la prima volta che un gigante del pensiero manchi della prestanza che volentieri l’immaginazione gli attribuirebbe. Risponda o no al vero quella sorta di “istantanea” manoscritta, resta il mistero della storia di un’anima, formatasi al duro abito degli studi a contatto con il primo magistero del francescano e vir mirae sanctitatis Pietro d’Assisi e forgiata in età adolescente alla mentalità giuridica da uno degli spiriti grandi della sua età, quel Cino da Pistoia che fu l’amico di Dante per eccellenza e che dovette trasmettere a Bartolo il senso della grandezza di Dante (Francesco Calasso parlò a questo proposito di «un insegnamento fortemente critico che accusava la crisi di una tradizione metodologica di due secoli e gettava le basi di un nuovo indirizzo che sarebbe toccato a quel giovanissimo ascoltatore di portare rapidamente alle massime altezze e a imprimergli il proprio nome»).
Sta forse in questo duplice, altissimo magistero spirituale e scientifico, teologico e giuridico, religioso e laico, precocemente vissuto tra Sassoferrato e Perugia, la radice di un’esperienza che nell’ambito della scienza del diritto è paragonabile, appunto, solo a quella di Dante nella costruzione di un paradigma linguistico e culturale trasmesso alle generazioni successive come un’imprescindibile eredità. Di Dante – che ammirò fino a porre arditamente la canzone Le dolci rime d’amor ch’i’ solia alla base della propria dottrina sulla nobiltà – Bartolo non condivise forse in tutto l’ideologia filoimperiale, ma anche a lui toccò di vivere la crisi della società italiana del primo Trecento, con la sua incerta vita costituzionale segnata dal continuo giustapporsi di poteri di fatto a poteri di diritto, dall’eclissi dei poteri universali e dal sorgere delle tirannidi: era nato forse proprio in quell’anno 1313 in cui Dante dava alla luce la Monarchia e in cui l’imperatore Enrico VII moriva senza aver potuto compiere il suo disegno di pacificazione universale. La sua breve esistenza, troncata da una morte immatura nel 1357, si svolse tutta in un tempo di sconvolgimenti profondi, di grandi calamità e di altrettanto grandi attese spirituali, di cui la sua opera è per molti versi uno specchio fedele.

Nel maggio-giugno 1355, inviato dalla città di Perugia, Bartolo incontra a Pisa l’imperatore Carlo IV che lo nomina suo consigliere e gli concede la facoltà di fregiarsi dello stemma imperiale, un leone rosso a due code in campo d’oro.

Vicende scientifiche, accademiche e professionali

Francesco Calasso, Bartolo da Sassoferrato, Dizionario biografico degli italiani, vol. 6, 1964

Nacque a Venatura, frazione rurale del Comune di Sassoferrato nell’Anconetano, territorio del futuro ducato di Urbino. La data di nascita, deducendola da quella della sua promozione al dottorato avvenuta in Bologna il 10 nov. 1334, quando B. era nel suo ventunesimo anno, va collocata tra il 10 nov. 1313 e il 10 nov. 1314.
Il padre si chiamava Francesco: ma ricorre nei documenti, dal diploma di dottorato e dal testamento di Bartolo ad altri atti, coi diminutivi di “Ceccus” o “Ciccus”; sembra sia stato un campagnolo benestante, ma non sono sufficienti a provarlo né un atto di vendita di tre mucche né l’atto di compera di un pezzo di terra. La madre si chiamava Santa. Resta insoluto il problema del cognome; gliene vennero attribuiti tre: Severi (dal Panciroli), Bentivogli (da ultimo, dal Woolf), Alfani (da Oldoinus, Pellini, Vermiglioli); i primi due con quasi nessun fondamento, quello di Alfani appare, ma solo in atti non anteriori al 1487, in un ramo di suoi discendenti (così nel giurista del Quattrocento Tindaro Alfani, lontano pronipote). Secondo il Tiraboschi, Severi sarebbe il cognome della famiglia paterna, Alfani della matema. Secondo una tarda letteratura d’Oltralpe, d’intonazione antibartolistica (a cominciare dal Covarruvias, giurista spagnolo del sec. XVI, chiamato il Bartolo spagnolo), B. sarebbe stato di natali illegittimi, o quanto meno abbandonato dai genitori; secondo questa letteratura, il fatto troverebbe conferma nel silenzio di B. sulla propria infanzia, oltreché nelle sue confidenze sulla prima formazione culturale: mito creato sul calco della vita di altre personalità d’eccezione, e forse rispondente inconsciamente all’esigenza di porre la figura di B. fuori e sopra di ogni contingenza terrena. È probabile che non abbia portato alcun cognome: cosa, per i tempi, normale (J. L. J. van de Kamp).
In un famoso squarcio autobiografico inserito in una sua lezione (in Dig. Nov., De verb. oblig., I. quidam cum filio), B. ricorda di avere ricevuto la sua prima istruzione da un frate Pietro d’Assisi, del quale parla con commozione (“cum calamus hoc scribit, cordis oculus lacrymatur”): a quest’uomo, ch’egli descrive colto, di nessuna ipocrisia, di ammirevole santità (si trasferì poi a Venezia, dove fondò una “casa della pietà” per trovatelli, e venne chiamato perciò frate Pietro della Pietà), B. si sente debitore di quella formazione mentale che gli permise, a soli quattordici anni, di seguire a Perugia i corsi di diritto civile di Cino da Pistoia.
In realtà, era, il suo, un intelletto precocissimo: e si rifletta, come questa precocità di adolescente venisse severamente provata da un insegnamento fortemente critico che accusava la crisi di una tradizione metodologica di due secoli e gettava le basi di un nuovo indirizzo che sarebbe toccato a quel giovanissimo ascoltatore di portare rapidamente alle massime altezze e a imprimergli il proprio nome. Senza dubbio, il magistero di Cino dovette esercitare su B. un’influenza decisiva: in quegli anni, Cino era nella piena maturità dell’attività scientifica, e, con l’apparizione ancor fresca della sua opera massima, la Lectura super Codice, all’apogeo della fama. In particolare proprio in quest’opera, che era stata scritta da Cino sotto il diretto influsso dei dialettici francesi conosciuti nel suo soggiomo giovanile alla scuola di Orléans, venivan segnati i canoni della nuova metodologia, cui si è alluso, nella esegesi dei testi degli iura civilia. B. non esiterà, in età matura, a riconoscersi debitore ad essa della propria formazione mentale: “suum fabricabat ingeniuni”, come dirà il suo discepolo Baldo degli Ubaldi, ripetendo parole del maestro.
B. proseguì ben sei anni lo studio degli iura civilia, ma la prova finale del baccalaureato la sostenne a Bologna nel 1333, a vent’anni: sulle ragioni dell’abbandono di Perugia non abbiamo notizie, ma forse sono da mettere in rapporto col trasferimento di Cino allo Studio di Firenze, che può essere datato appunto fra il ’33 e il ’34. Il 15 dic. 1333, dunque, B. disputò pubblicamente alla scuola del suo maestro bolognese Iacopo Butrigario una quaestio, detta, dall’incipit, “Statuta civitatis Lucanae”, ottenendo il titolo di “bachalarius”. Nel citato squarcio autobiografico B. ricorda questo suo primo saggio di giurista ventenne con le semplici parole: “repetendo, et disputando, publice de iure respondi”; il saggio figura, nella raccolta delle sue opere, come quindicesima delle Quaestiones. Pochi mesi più tardi, ed esattamente il 17 sett. 1334, B. sosteneva le prove preliminari all’esame di dottorato: dai maestri Iacopo da Belviso (o, come risulterebbe dalla copia del diploma di laurea riportata dal Lancellotti, Iacopo Butrigario) e Pietro de’ Cerniti gli furono assegnati, rispettivamente, come puncta di dissertazione la I. illud ffquod metus causa (D. 4, 2, 10) e la I. i. C. quem ad modum testamenta aperiantur (C. 6, 32, 1). Superate queste prove, venne ammesso all’esame di dottorato davanti a una commissione composta da Giovanni Calderini, decretista, vicario dell’arcidiacono di Bologna, e da dieci doctores legum: Filippo de’ Foscarari, Iacopo da Belviso, Pietro de’ Cerniti, Francesco de’ Liazzarii, anche in rappresentanza di Maccagnano d’Azzoguidi e di Taddeo Pepoli, Raniero da Forlì, Pietro de’ Bonifazii, anche in rappresentanza di Tommaso Formaglini, Lorenzo, Bartolomeo Butrigali e Filippo Formaglini: presentatore, Iacopo Butrigarlo. La proclamazione solenne fu fatta il 10 novembre nella cattedrale di S. Pietro: secondo il rito, che è minutamente descritto nel diploma di dottorato, subito dopo la proclamazione fatta dal vicario, che conferiva a B. “legendi docendi et doctorandi Bononiae et ubique de caetero plenam licentiam et liberam facultatem”, il promotore Butrigario consegnò a B. il libro dottorale, gl’impose il tocco e gli diede il bacio della pace e la benedizione dottorale.
Molto incerte le notizie intorno agli anni che seguirono immediatamente il conseguimento del dottorato, fino all’inizio del suo magistero a Pisa nel 1339. Furono anni che B. volle certamente dedicare all’esercizio di attività pratiche, mentre si preparava a salire la cattedra. E’ sicuro l’assessorato a Todi, che deve ritenersi concluso prima del 16 maggio 1336, poiché un documento datato appunto a quel giorno lo ricorda come “olim assessor Tuderti”: dopo, per breve tempo, a Cagli, allora alle dipendenze di Perugia. Il 23 ag. 1338 B. è presente a Macerata, come avvocato generale del rettore della Marca Anconetana, all’assoluzione del Comune e dei cittadini di San Ginesio dall’interdetto che li aveva cespiti per avere ospitato e favorito “fraticellos de paupere vita”. Queste, le uniche notizie documentate. È ritenuto verosimile un suo assessorato a Cagli in quello stesso torno di anni.

Bartolo in cattedra. Dall’edizione delle Opere di Bartolo da Sassoferrato, Lione, 1538.

È invece destituita ormai di ogni fondamento la notizia del suo ritiro a San Vittore, che sarebbe testimoniata in un brano autobiografico contenuto nel commento alla Const. Omnem 5 haec autem tria, n. 7, dove l’autore narra: “apud sanctum Victorem… steti per magnum tempus ad studenduin et revidendum Jibros per me ipsum”. Sennonché, l’intiero commento a quel paragrafo della costituzione giustinianea non è di B., ma di Cíno da Pistoia, come già avvertivano in calce alcune edizioni a stampa delle opere di B. (“et ista sunt verba Cyni”) e ultimamente è stato confermato dalla restituzione a Cino della grande Lectura super Digesto Veteri che già il Savigny aveva ritenuta una lectura antiqua di B. e nella quale appunto figura il passo su riferito (D. Maffei): questione che riprenderemo oltre quando parleremo delle opere. Ma c’è di più: lo spunto autobiografico del ritiro a San Vittore, a scopo di raccoglimento e di studio, aveva fatto lavorare la fantasia dei biografi di B., che, a partire dal Diplovataccio, legarono quell’episodio con un altro che sarebbe occorso a B., stando alle parole del Diplovataccio, “existens iudex maleficiorum in civitate Bononiae”: B. cioè, in questo uffizio, interpretando male una legge, avrebbe sottoposto alla tortura illecitamente un tale che, durante i tormenti, era morto; e il Comune di Bologna, in punizione, gli avrebbe inflitto il bando da Bologna. B. si sarebbe allora ritirato a San Vittore. Il fatto successo a B. è vero, e B. stesso ne parla nel commento a D. 48, 19, 7, dove, dopo aver esaminato il quesito: “quid si iudex torsit aliquem tantum quod mortuus est”, riferisce: “hoc incidit mihi, quia dum videreni iuveneni robustum, torsi illum, et statim fere mortuus est*”, senz’altri particolari. La fantasia dei biografi, volendo spiegare a ogni costo l’episodio del ritiro a San Vittore, peraltro, come ora sappiamo, estraneo alla vita di B., ricollegò i due episodi; ma già il Vermiglioli li separava, e il Tiraboschi qualificava “mera novella” l’episodio della tortura.
Altra notizia che non regge alla critica, anche se venne presa per buona dal Savigny e tutt’oggi qualcuno la ripete, è quella di un breve insegnamento di B. a Bologna nel 1338, come successore di Raniero Arsendi. Sta di fatto che l’Arsendi, quando nel ’38 Bologna fu colpita da interdetto che sospendeva ogni facoltà di insegnare in questa città, dopo un breve soggiorno a Castel San Pietro si stabili a Pisa, insegnando in quello Studio; né a Bologna fece più ritorno, quando la città fu liberata dall’interdetto. Da questa circostanza sarebbe stata indotta la supposizione di un breve insegnamento bartoliano a Bologna che già il Ghirardacci affacciava, confondendolo con quel “publice de iure respondi” di cui B. parla a proposito del suo esame pubblico per il baccalaureato a Bologna: e infatti il Ghirardacci era stato costretto ad attribuire al 1333 l’insegnamento bolognese di Bartolo. Di questo insegnamento peraltro né B. stesso né altri parlano mai.
Nel 1339 B. è a Pisa; dapprima come assessore del podestà, poco dopo come professore. Iniziava dunque l’insegnamento universitario a ventisei anrii, esordendo con la repetitio ad l. si is qui pro emptore ff. de usucapionibus (p. 41, 3, 15). Lo stipendio assegnatogli fu di 150 fiorini d’oro, già ragguardevole tenendo presente l’età e il primo insegnamento. La casa privata dov’egli, com’era uso del tempo, impartiva le sue lezioni (il Comune gliene pagava l’affìtto) fu il castello dei Famigliati, situato in via Santa Maria nei pressi del duomo: sulla fine del Cinquecento, quando per ordine del granduca il castello venne restaurato e adattato a collegio, vi fu murata una lapide, che tuttora si legge, a ricordo del soggiorno di Bartolo. A Pisa B. ebbe come maggiore collega Raniero da Forlì, che era stato già suo maestro ed esaminatore a Bologna. La, probabile ma non sicuro, che abbia avuto già come allievo Baldo degli Ubaldi.
L’insegnamento pisano è documentato per il 1340 dalla quaestio 1, 2, datata Pisa, 12 febbr. 1340; per il 1341, dalla quaestio 1, 14, datata Pisa, 3 febbr. 1341 (con qualche discordanza nelle edizioni), e dalla repetitio ad D – 31, 66, 11, datata giugno di quell’anno; per il 1342, da una disputa tenuta da B. l’11 febbraio (Vat. lat. 10726, f. 181: B. Paradisi) e da una repetitio ad D. 45, 1, 4, 1, datata 15 novembre di quell’anno. Sappiamo poi con certezza che, come corsi ordinari, lesse nel 1340-41 l’Infortiatum, nel 1341-42 il Novum; è pensabile che nel 1339-40 avesse tenuto come suo primo corso la lettura del Vetus, che normalmente precedeva le altre. Nel 1342-43 lesse il Codex, ma non sappiamo se a Pisa o a Perugia: durante quell’anno scolastico si compì infatti il suo trasferimento allo Studio di Perugia, ed è datata Perugia, 29 marzo 1343 la repetitio: quod Nerva ff. depositi vel contra (D. 16, 3, 32); Perugia, 3 nov. 1343 è datata la celebre repetitio: omnes populis ff. de iustitia et iure (D. 1, 1, 9) secondo il DipIov. oliver. (G. Rossi); e ancora Perugia, 21 dic. 1343 è datata la quaestio 1, 7 in Vat. lat. 10726, f. 178 v (B. Paradisi; già segnalata da F. C. Savigny). Dalla chiusa di quest’ultima quaestio si ricava che nello stesso anno 1343 B. leggeva in Perugia il Vetus. Su questa ultima data concorda anche il ms. Haenel 15, f. 80 della Bibl. Universitaria di Lipsia.
Dallo studio di Perugia B. non si muoverà più, fino alla morte.

Casa natale di Bartolo a Rave di Venatura

Bartolo tra gli "immortali" alla Corte di Urbino

Il settimo centenario della nascita è stata l’occasione per una ‘rilettura’ del suo magistero giuridico e civile

di Galliano Crinella
Presidente dell’Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”.

C’è anche Bartolo da Sassoferrato tra gli uomini illustri presenti nel ricostruito Studiolo di Federico da Montefeltro, oggetto di una preziosissima mostra che esibisce, all’interno del Palazzo Ducale di Urbino, una delle testimonianze più rare e significative del Rinascimento italiano. Nel prestigioso e particolarissimo ‘spazio espositivo’ sono collocati, in gruppi di quattro su due piani, i ritratti di ventotto grandi personaggi, dai volti solenni: Aristotele, Bartolo, Bessarione, Boezio, Cicerone, Dante, Euclide, Ippocrate, Mosè, Omero, Petrarca, Pietro d’Abano, Pio II, Platone, Salomone, Sant’Agostino, Sant’Ambrogio, Sant’Alberto, San Girolamo, San Gregorio, San Tommaso, Scoto, Seneca, Sisto IV, Solone, Tolomeo, Virgilio, Vittorino da Feltre. L’evento è stato inserito nel programma Expo 2015. Dei ventotto ritratti, quattordici erano già conservati nel Palazzo Ducale, mentre le restanti quattordici tavole, collocate nel Museo del Louvre dal 1863, sono state eccezionalmente fornite per l’evento dal Museo francese. Non erano mai tornate, prima d’ora, in Italia. Il ritratto di Bartolo (dipinto su tavola, 95 x 57 cm), è opera  del pittore fiammingo quattrocentesco Giusto di Gand, che lavorò per qualche anno, attorno al 1473, alla corte di Federico da Montefeltro.
La mostra rivela, al tempo stesso, un tratto importante della storia di Urbino, delle Marche e delle sue più note tradizioni culturali. Inaugurata il 12 marzo ed aperta fino al 5 luglio 2015, è curata da Carlo Bertelli, Alessandro Marchi e Maria Rosaria Valazzi. Lo Studiolo, spiegano i curatori, ”è un ambiente voluto da Federico di Montefeltro come una sorta di autobiografia ideale, esempio di una tipologia che conta pochi esemplari superstiti, e oggetti rari”. Realizzato da artisti italiani e fiamminghi, rappresenta un ambiente privato ma dal fascino universale e senza tempo, uno spazio per lo studio e la meditazione, dall’architettura e dagli elementi originali, impreziosito, per l’appunto, dai ritratti dei sapienti con i quali Federico, all’apice del suo prestigio politico, amava confrontarsi. Il Duca Federico, valoroso condottiero e raffinato uomo di cultura, fu una delle personalità più importanti di una straordinaria stagione culturale, fautrice di grandi cambiamenti e nuove ispirazioni per l’intera Europa. La presenza di Bartolo tra i più grandi e apprezzati personaggi dell’Occidente è una prova ulteriore della rilevanza intellettuale del nostro, e della profonda considerazione di cui godeva la sua imperitura opera di interprete e “costruttore” del diritto. 
Nella ricorrenza centenaria della sua nascita (1313 – 1354), la città di Sassoferrato non ha esitato a riproporre aspetti della sua straordinaria attività di studioso e di interprete, spesa non solo sul piano prettamente teorico e dottrinale. In collaborazione con il Comune di Sassoferrato e con il patrocinio dell’American Academy in Rome, dell’Accademia di Danimarca, dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e della Regione Marche, l’Istituto internazionale di Studi Piceni ha promosso e organizzato due edizioni del Congresso internazionale di Studi Umanistici, il XXXIV°, nel 2013, sul tema: “Bartolo da Sassoferrato e il pensiero giuridico e politico tra Medioevo e Rinascimento”, e il XXXV°, nel 2014, sul tema: “Bartolo da Sassoferrato e Niccolò Perotti: due grandi marchigiani nella cultura europea tra Medioevo e Rinascimento”. Ai due Congressi hanno partecipato studiosi e ricercatori provenienti dalle maggiori università italiane ed internazionali. Un precedente storico importante: il 4 aprile 1959 si era tenuta a Sassoferrato una delle giornate del Convegno commemorativo organizzato dall’Università degli Studi di Perugia  nel sesto centenario della morte di Bartolo – le altre due giornate a Perugia e Todi.
Pure molto importante, sul piano della riconsiderazione del pensiero e dell’impegno civile bartoliano è stato il I° Convegno storico internazionale del Centro italiano di studi sul Basso Medioevo, organizzato dall’Accademia Tudertina con il patrocinio dell’Università degli Studi di Perugia, sul tema: “Bartolo da Sassoferrato nel settimo centenario della nascita. Diritto, politica, società”, tenutosi a Todi e Perugia 13-16 ottobre 2013). A Todi, Bartolo fu giudice criminale e all’Università degli Studi di Perugia insegnò per quasi tutta la sua breve vita. Il Convegno, coordinato da Ferdinando Treggiari,  ha approfondito alcuni temi cruciali, quali i commentari di diritto romano, i trattati politici sulla civitas medievale, le vicende istituzionali e politiche che lo coinvolsero come giudice e diplomatico in una fase cruciale della vita dei comuni cittadini, la luminosa e secolare tradizione che l’opera bartoliana inaugurò in Italia e in Europa.
La ricognizione sull’imponente opera e dottrina giuridica di Bartolo era iniziata a Sassoferrato, nel 2011, con il XXXII° Congresso internazionale di Studi Umanistici. In quella occasione Luigi Lacchè, giurista e Rettore dell’Università degli Studi di Macerata, confermando le ragioni per le quali lo studioso sentinate era stato riconosciuto da Federico II come uno dei grandi protagonisti della cultura occidentale, affermava: “Bartolo non mancherebbe mai in un’ideale quadreria dei giuristi europei del millennio appena trascorso. Il profilo intellettuale e il profilo della sua opera sono talmente smisurati che diventa difficile coglierli in tutta la loro complessità. Iuris monarcha, Lucerna juris, Apollinis oraculus i titoli e le iperbole accumulate nel corso dei tempi. Il brocardo nemo bonus jurista nisi sit bartolista designa una tradizione plurisecolare. Bartolo è un giurista epocale, una di quelle figure capaci di contenere in loro la forza, le identità, le contraddizioni di un’epoca. Come può esserlo un Dante o un Giotto.  Non c’è praticamente questione cruciale del proprio tempo che Bartolo non affronti nella sua opera. Dalle opere legate all’insegnamento fino ai trattati e ai consilia emerge sempre uno spaccato del diritto vivente che contrassegna una civiltà urbana vitalissima e originale. Nessuno meglio di Bartolo ha saputo cogliere e ricostruire le potenzialità e le contraddizioni insite nel rapporto tra diritto e politica nel Medioevo maturo. Il linguaggio giuridico dà forma al politico, e da questo incontro nascono idee e concetti nuovi, sul limitare della modernità precorritrice di nuove sensibilità”.
Gli studiosi hanno fatto rilevare, tuttavia, che all’eccezionale statura scientifica di Bartolo non ha corrisposto, nel tempo, un adeguato fervore di studi da parte della storiografia giuridica e ancora oggi non abbiamo una conoscenza del tutto esauriente del suo pensiero. Tale studio sarebbe certamente importante anche per dare impulso alla storia degli istituti e in generale della scienza giuridica entro l’esperienza del diritto comune, cui Bartolo ha fornito un contributo rilevantissimo.  La vicinanza di Bartolo ai frati minori francescani, direi il suo stesso spirito francescano, la devozione per frate Pietro d’Assisi, il primo maestro di studi giuridici che lo avviò successivamente all’Università degli Studi di Perugia, sono stati sottratti alla ‘memoria pigra’ con la lapide collocata nel Convento francescano, a fianco della Chiesa di San Francesco in Piazza San Francesco, con il seguente testo
“Qui, alla scuola di fra’ Pietro d’Assisi, / Bartolo / insigne assertore / di concordi leggi tra popoli, / iniziò il luminoso cammino / verso le somme vette / del sapere giuridico / Amministrazione comunale e città di Sassoferrato/ 3 luglio 2013”.
 E’ opportuno ricordare, per ricondurci alla riconoscenza di Bartolo nei confronti di Sassoferrato e dell’Ordine dei Frati minori, che nel suo testamento egli stabilì che qualora fosse morto a Perugia avrebbe dovuto essere seppellito nella Chiesa di San Francesco e se fosse morto a Sassoferrato avrebbe dovuto essere seppellito, anche qui, nella Chiesa di San Francesco. Un’ultima annotazione: facendo seguito alle iniziative promosse per il settimo centenario della nascita, e per conservare una sua presenza viva nella città che gli ha dato i natali dopo la chiusura dell’Istituto Giuridico “Bartolo da Sassoferrato”, l’Istituto internazionale di Studi Piceni ha modificato la sua denominazione in Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”.

L'Istituto internazionale di Studi Piceni. Annotazioni storiche

L’Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato” è la nuova denominazione, assunta, nel 2014, dall’Istituto internazionale di Studi Piceni, fondato nel 1955, come ente morale, con sede in Sassoferrato. La nascita dell’Istituto è dovuta alla comune volontà della città di Sassoferrato, nella persona del suo Sindaco Albertino Castellucci, e della città di Tolentino, nella persona del Sindaco Roberto Massi, due primi cittadini con una forte sensibilità per la cultura nelle sue molteplici espressioni. Alla Presidenza venne nominato lo scrittore tolentinate Tullio Colsalvatico. 
La sede, in Via F.lli Rosselli, veniva inaugurata il 13 marzo 1960, con molta solennità e con la partecipazione di molte autorità accolte dal Presidente Colsalvatico e dal Segretario generale Padre Stefano Troiani: S.E. Mons. Giuseppe Pronti, Vescovo di Nocera Umbra e Gualdo Tadino, il Sindaco On. Albertino Castellucci, Ezra Pound, scrittore e poeta americano, Virginia C. Reves, giornalista americana, i Presidi della Scuola Media Prof. Giuseppe Quaresima e della Scuola di Avviamento Prof. Raffaello Boldrini, Il Direttore della Scuola Elementare di Sassoferrato Dott. Carlo Pesetti, l’Avv. Francesco Stelluti Scala, Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Sassoferrato, il Dott. Gregorio Castellucci, Consigliere Provinciale e Presidente della Pro-Sassoferrato, Alberto Fata, il maestro Renato Ottaviani e il Rag. Rolando Razzi. Nella stessa occasione l’Istituto commemorò l’illustre italianista sentinate Prof. Guido Vitaletti.
L’Istituto nacque con l’obiettivo di promuovere studi e ricerche sulle Marche ed illustrare il contributo che la Regione ha apportato alla cultura, studiandone gli aspetti più vivi e nelle relazioni con l’Italia e l’Europa. Tale obiettivo era da perseguire attraverso Congressi e Convegni annuali e la pubblicazione di Studi Piceni. Nei suoi primi anni di vita, l’Istituto sostenne e collaborò attivamente anche all’organizzazione della Rassegna internazionale d’Arte “G.B. Salvi” e “Piccola Europa”. 
Il primo Convegno umanistico, dal 31 luglio al 7 agosto 1955, si tenne a Palazzo Merolli e ne furono relatori: Francesco Flora, dell’Università di Bologna, Lorenzo Giusso, anch’esso dell’Università di Bologna, Ugo Redanò, dell’Università di Roma, su Maria Montessori, Tullio Colsalvatico, sul significato spirituale delle Marche. Nell’occasione, presenti il Prefetto di Ancona, il Questore di Ancona e il Sen. Aristide Merloni, il Sen. Guido Bisori, Sottosegretario al Ministero degli Interni, portò il saluto del Governo nazionale. 
Il secondo Convegno si tenne nella Sala Consiliare del Comune di Tolentino, dal 13 al 20 ottobre 1957, con un’ampia partecipazione delle autorità comunali e provinciali. Nel Convegno tennero relazioni i seguenti studiosi: Giulio Dolci, dell’Università di Milano, su Alfonso e Battista Varano, Alfonso Giardini, Direttore della rivista “Italia”, sul turismo e le Marche, Francesco Biondolillo, dell’Università di Roma, su Leopardi, G.B. Marcucci, dell’Università di Bologna, su Nazzareno Strampelli, Raniero Nicolai, poeta, sulle Marche e i suoi scrittori.
Il terzo Convegno, sulla genetica dell’ulivo, si tenne nei giorni 18, 19, 20 febbraio 1958 a Tolentino e Camerino. Intervennero: il Magnifico Rettore dell’Università di Camerino, Carlo Bianchi, il Ministro dell’Agricoltura, il Presidente e il Direttore della Camera di Commercio di Macerata. Erano presenti gli Ispettori agrari compartimentali delle varie provincie, Alessandro Morettini, dell’Università di Firenze, Vittorio Marchesoni, dell’Università di Camerino, sulla biologia dell’ulivo, Nestore Jacoboni, dell’Università di Perugia, su una nuova tecnica per la propagazione dell’ulivo. Il Convegno ebbe una rilevanza nazionale. Nei suoi primi cinque anni di attività, l’Istituto promosse ricerche archeologiche nella Grotta della Sibilla, nell’Alta Valle del Fiastrone, in Val di Chienti pubblicandone gli esiti nella rivista “Italia”, nel “Giornale d’Italia” e “L’Avvenire d’Italia”.

I membri dell’Istituto internazionale di Studi Piceni in visita al Monastero di Fonte Avellana il 13 marzo 1960, dopo la conferenza in ricordo di Guido Vitaletti tenutasi a Sassoferrato. Da sin.: Tullio Colsalvatico, primo Presidente dell’Istituto, Ezra Pound, Ugo Gubbiotti, Don Ugo Ottaviani, Gregorio Castellucci, Rolando Razzi.

Si tenne poi a Sassoferrato, dal 29 giugno al 4 luglio 1960, il Congresso internazionale leopardiano, con l’adesione delle massime autorità politiche ed istituzionali italiane e la partecipazione di autorevoli studiosi stranieri, quali: John L. Brown, dell’Università di Washington (La poesia di Leopardi negli Stati Uniti), Robert Wis, dell’Università di Helsinki (La traduzione delle opere di Leopardi in Finlandia), Paulette Reffienna, dell’Università di Parigi (Leopardi nella poesia e nella letteratura francese), Dolf Vespoor, dell’Università di Hilversum (Leopardi nella poesia e letteratura olandese). Intervennero anche Erichkan Wertegaard, dell’Università di Copenaghen, Kare Foss, dell’Università di Oslo, R. Van Nuffel, dell’Università di Bruxelles, Giorgio Zora, dell’Università di Atene. 
Nell’occasione i partecipanti al Congresso leopardiano fecero voti perché lo Stato acquistasse quella parte della Villa delle Ginestre, legata alla memoria del grande poeta, e affinché ogni Comune delle Marche dedicasse una via a Giacomo Leopardi. Si auspicò che fossero dedicate vie o luoghi pubblici anche ad altri ‘immortali’ delle Marche, quali: Bartolo, Raffaello, Rossini e Bramante.
Successivamente, la Presidenza dell’Istituto fu assunta da Padre Stefano Troiani. Negli anni ’60 e ’70 l’Istituto operò attivamente nella promozione delle attività e dei beni culturali a Sassoferrato. In questo periodo pubblicò la rivista “Miscellanea sentinate e picena”. Nel 1980 poi, grazie alla fattiva collaborazione di Padre Troiani con Sesto Prete, si diede vita al primo Congresso internazionale di Studi Umanistici, con la partecipazione dei più autorevoli studiosi dell’umanesimo, provenienti da Università ed Istituti di ricerca italiani, europei ed extra-europei. Poi, nonostante le difficoltà, finanziarie ed organizzative a tenere in vita un’iniziativa di così alto valore scientifico, i Congressi ebbero una vita lunga e assai prolifica.
La prima relazione al primo Congresso, a riprova dell’autorevolezza scientifica dell’evento, fu tenuta da Paul Oscar Kristeller. 
Dieci anni dopo, nel 1990 si diede vita poi ai Seminari di Alta Cultura, ai quali si iscrivevano giovani neolaureati delle discipline umanistiche, anch’essi provenienti da tutto il mondo. I Seminari, ogni anno su un tema specifico e tenuti da autorevoli relatori, costituirono un’iniziativa assai importante perché furono, per molti dei giovani che vi parteciparono, lo stimolo e l’avvio di una prestigiosa carriera accademica.

I 37 volumi di Studi Umanistici Piceni, editi dall’Istituto. Sono gli Atti degli altrettanti Congressi internazionali di Studi Umanistici, tenutisi a Sassoferrato dal 1980 al 2016.

Gli otto tomi dell’edizione critica del Cornu copiae di Niccolò Perotti, editi dall’Istituto, a cura di Jean-Louis Charlet, nel corso degli anni 1989-2003.

Gli Atti dei Congressi, che si tennero puntualmente ogni anno, vennero regolarmente e tempestivamente pubblicati nella rivista “Studi Umanistici Piceni”. Ne diamo conto con il volume curato da Alvaro Ballanti che riassume e ricostruisce l’enorme lavoro culturale che venne fatto.
Il Congresso si interruppe poi nel 2016. In questo lungo periodo la Presidenza dell’Istituto fu assunta da Alberto Grilli, dell’Università Statale di Milano, e successivamente, alla morte di Grilli, da Ferruccio Bertini, dell’Università di Genova. Dopo la scomparsa di Bertini, nel 2013, alla Presidenza dell’Istituto venne nominato Galliano Crinella che conserva a tutt’oggi tale ruolo. I trentasette volumi di “Studi Umanistici Piceni”, in cui sono raccolte le relazioni e le comunicazioni tenute in altrettanti Congressi, dal 1980 al 2016, sono conservate ora anche alla Bodleian Library dell’Università di Oxford, che ne aveva fatto richiesta. Insieme con le attività Congressuali e seminariali, l’Istituto ha prodotto negli ultimi decenni un’intensa attività editoriale, legata al campo degli studi sull’umanesimo classico e contemporaneo insieme con la valorizzazione di figure e aspetti della cultura locale e regionale. Alla promozione e all’organizzazione di tutte le attività dell’Istituto vi è sempre stato Padre Stefano Troiani, direttore della Biblioteca Comunale, e scomparso nel marzo 2016. Padre Stefano ha lasciato un notevole contributo anche per la costituzione di Musei e qualificate attività nel campo dell’arte, con la Rassegna internazionale d’Arte “G.B. Salvi” e “Piccola Europa”, oggi alla sua settantaduesima edizione, e a tutte le iniziative artistiche collegate.

Le iniziative dell’Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”, a partire dagli anni 2011-2012, sono presenti, in larga parte, in questo sito web. 

Momenti dei Congressi e dei Seminari di Alta Cultura.

I Congressi internazionali di Studi Umanistici 1980 - 2016

PREFAZIONE

Vi era una necessità culturale e Umberto Ballanti si è fatto carico di soddisfarla con il rigore e l’efficacia che ne hanno contraddistinto l’operato nei lunghi anni di collaborazione per la buona riuscita dei Congressi internazionali di Studi Umanistici, promossi dall’Istituto internazionale di Studi Piceni. Il Congresso, a cadenza annuale, è iniziato nel 1980, e si è protratto fino al 2016, allorché, in presenza di una persistente insostenibilità, sul piano finanziario ed organizzativo, si decise di interromperlo. Sono stati tuttavia ben trentasette i Congressi, ricchissimi di relazioni e studi variegati, ai quali vanno aggiunti i Seminari di Alta Cultura, frequentati da giovani ricercatori delle discipline umanistiche.
La necessità era quella di poter vedere raccolti i titoli dei molteplici e qualificati contributi portati a Sassoferrato, per questo definita “cittadella dell’umanesimo”, da alcuni tra i maggiori studiosi italiani, europei ed extra-europei dell’umanesimo. Possiamo ricordare, per tutti, Paul Oscar Kristeller, intervenuto nel 1980 al primo Congresso umanistico. Non possiamo non ricordare poi i Presidenti del Comitato scientifico dell’Istituto, i Proff. Sesto Prete, Alberto Grilli e Ferruccio Bertini e i membri del Comitato scientifico delle ultime edizioni del Congresso: Giancarlo Abbamonte, Sandro Boldrini, Jean-Louis Charlet, Edoardo Fumagalli, Alessandro Ghisalberti, Heinz Hofmann, Craig Kallendorf, Marianne Pade, Cecilia Prete, Stefano Troiani, Hermann Walter. Ma la linfa vitale, la vera ‘anima’ dell’Istituto e dei Congressi, in questo lungo arco di tempo, è stato Padre Stefano Troiani, iniziatore delle attività congressuali e delle pregevoli attività editoriali.
Siamo dunque ben lieti di accogliere il volume tra le pubblicazione dell’Istituto sentinate, oggi Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”, perché riteniamo che esso valorizzi l’enorme lavoro che è stato fatto, con rigore e qualità scientifica, per la conoscenza di aspetti ed autori della cultura umanistica italiana ed internazionale. In tal modo, soprattutto grazie alle iniziative sull’umanesimo in ambito storico e teoretico, l’Istituto, fondato nel lontano 1955, ha realizzato pienamente le finalità e le progettualità che erano nello spirito di coloro che lo avevano pensato, richiamate peraltro nel suo Statuto.

Galliano Crinella
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Istituto Internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”
Il Formichiere editore
2022

L'Istituto Giuridico "Bartolo da Sassoferrato" 1994 - 2008

Fondato nel marzo 1994 come libera Associazione e con sede in Sassoferrato, l’Istituto Giuridico “Bartolo da Sassoferrato” ha operato fino al 2008, allorché ha cessato le sue attività. Ne erano stati Soci fondatori il Comune di Sassoferrato, l’Università degli Studi di Urbino e il Prof. Giovanni Polara, professore ordinario di Istituzioni di diritto romano presso l’Università Statale di Milano. Era nato con l’obiettivo di incentivare l’attività di ricerca sia sulla figura di Bartolo da Sassoferrato che sulle problematiche storico-giuridiche relative alle sue opere o riferibili al suo pensiero attraverso l’organizzazione di Convegni, seminari, dibattiti e gruppi di ricerca. Altri obiettivi erano l’istituzione di corsi di specializzazione per giovani laureati cultori di discipline attinenti alla storia del diritto e la produzione di Collane, riviste e pubblicazioni, sia autonomamente che in collaborazione con Università o altri Istituti aventi finalità simili. Nel corso degli anni l’Istituto, con il patrocinio della Regione Marche, aveva organizzato nel novembre 1994 un Convegno sul tema: “La vita e il pensiero di Bartolo da Sassoferrato”. Successivamente, in esecuzione delle finalità statutarie, nel 1998 si era proceduto, con l’editrice “Il Cigno Galileo Galilei” (Collana “Le Sorgenti”), alla ristampa dei Commentaria. Opera completa di Bartolo da Sassoferrato, a cura di Giovanni Polara, utilizzando l’edizione De Tortis, Venezia 1526-29, con le “additiones” di Tommaso Diplovatazio. I Commentaria, unica realizzazione al mondo di tale opera, in 9 tomi, hanno riscosso ampi apprezzamenti della critica e degli studiosi di diritto medioevale e moderno. La stessa Casa editrice ha pubblicato poi,  nel 1998, nella Collana “Le Sorgenti”, un’altra voluminosa e importante opera giuridica, con la curatela dell’Istituto Giuridico “Bartolo da Sassoferrato”, Lectura Super Codice, di Cino da Pistoia, il maestro di Bartolo all’Università di Perugia.

I nove tomi dei Commentaria bartoliani, editi nel 1998, a cura di Giovanni Polara, da “Il Cigno Galileo Galilei” e dall’Istituto Giuridico “Bartolo da Sassoferrato”.

Il Comitato Scientifico

L’Istituto si avvale di un Comitato scientifico di cui sono autorevoli Membri: Diego Quaglioni (Coordinatore, Università di Trento e Université de Lille), Ferdinando Treggiari (Università di Perugia e LUISS Roma), Giuseppe Severini (Presidente di Sezione Emerito del Consiglio di Stato), Maria Alessandra Panzanelli Fratoni (Università di Torino), Massimo Pagliarini (Tribunale di Roma), Galliano Crinella (Università di Urbino Carlo Bo, Presidente dell’Istituto). Ne faceva parte anche Dario Razzi, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Perugia, che purtroppo è venuto a mancare nell’ottobre 2020.

Le cinquecentine di Bartolo da Sassoferrato conservate nella Biblioteca Comunale di Sassoferrato sono 37, le seguenti:

Bartoli opera (2), Venetiis, 1603
Bartolus de Saxoferato (2), Venetiis, 1570
Bartolus de Saxoferato (3), Super DigestoCommentaria, Lugduni, 1538
Bartolus gemma legalis (8), Venetiis, 1602
Bartolus de Saxoferato, Consilia (7), Lugduni, 1538
Bartolus de Saxoferato, Super Codice (10),  1533
Bartolus de Saxoferato (2), Venetiis, apud Iunti, 1570
Bartolus de Saxoferato (2), Superautenticis, 1550
Bartolus de Sxoferato, Supersecundi, 1526

Enti sostenitori